Imprenditoria Z: l’impatto della Gen Z sul mondo startup
L’epoca di mezzo tra il mondo pre e post internet sta finendo. Persino i Millenials si stanno pericolosamente avvicinando a quel momento in cui non saranno più “ragazzi” e stanno lasciando il passo alla Gen Z, la generazione dei nativi digitali, nati e cresciuti con internet e tutte le sue innovazioni tecnologiche.
Anche nel mondo imprenditoriale questa generazione si sta facendo spazio, imponendo sempre di più la sua visione. Se i millenials hanno potuto contare su figure del calibro di Mark Zuckerberg, Evan Spiegel e Kevin Systrom, che hanno inaugurato l’era dei social media, la Gen Z è invece definita da una consapevolezza maggiore dal punto di vista politico, ambientale e sociale, che sta contagiando il mondo e mettendo le radici per quello che (si spera) sarà un cambiamento di rotta verso un’imprenditoria più giusta e meno impattante.
Questa generazione valorizza la sostenibilità, l’impatto sociale, e l’equità nelle pratiche aziendali. La loro formazione digitale li ha anche resi particolarmente adatti a navigare nel panorama tecnologico in rapida evoluzione, influenzando così le modalità di approccio all’imprenditoria. Inoltre, la loro capacità di adattamento e la visione progressista stanno riscrivendo le regole tradizionali del business, ponendo nuove priorità e sfidando gli schemi consolidati.
Imprese Gen Z
La Gen Z è nata con lo storytelling e ha sviluppato una mentalità già di per sé più imprenditoriale rispetto alla generazione precedente. Secondo un sondaggio di Morning Consult e Samsung, infatti, circa il 50% degli appartenenti a questa generazione è interessato ad avviare una propria attività e comprende bene l’importanza che la loro azienda abbia uno scopo.
Le startup di questi giovani imprenditori si concentrano su quei problemi che sono stati fino ad ora accettati ma che loro non ritengono giusti. Ecco allora nascere startup che si occupano di salute mentale, come SoundMind o la nostrana Unobravo; startup che si occupano di economia circolare, come Wase o Cloov (nostra cliente di cui abbiamo parlato il mese scorso anche in un video sui nostri social); o ancora startup che si occupano di semplificare la burocrazia e renderla più green, come Slip o la ormai diffusissima Fatture in Cloud.
Questa generazione “si preoccupa profondamente degli altri, si sforza di creare una comunità eterogenea, è altamente collaborativo e sociale, apprezza la flessibilità, l’autenticità e la leadership non gerarchica e, pur essendo sconcertato da questioni ereditate come il cambiamento climatico, ha un atteggiamento pragmatico sul lavoro che deve essere fatto per affrontare questi problemi”, scrive Roberta Katz in una ricerca del Center for Advanced Study in Scienze Comportamentali dell’Università di Stanford.
Gen Z e Venture Capital
L’età però non è sempre un vantaggio, molti membri della Gen Z sono ancora troppo giovani per aprire un’impresa e secondo una ricerca dell’Università di Harvard, l’età media dei fondatori di startup di success è ancora 45 anni.
Molte università e istituti hanno iniziato a promuovere corsi o servizi di incubazione per sostenere i giovani imprenditori, ma al momento della prima raccolta fondi lo status di studente sembra essere un ostacolo, tra chi dice che per guidare un’azienda devi abbandonare gli studi e chi, al contrario, ti esorta a finirli prima di buttarsi nel mercato.
Mentre i founder millenial più importanti, a livello globale, hanno visto il successo finanziario tra i 20 e i 25 anni, questa tendenza sembra stia scomparendo, e per i fondatori della Gen Z pare sia più difficile essere presi sul serio dagli investitori, soprattutto se non c’è una chiara proposta commerciale. In altre parole, non basterà concentrarsi solo sullo scopo.
“Ci sono molti svantaggi nell’essere un founder a questa età: In un certo senso si rinuncia ai propri 20 anni”, dice Grossman, founder di Slip. “Mentre i tuoi amici lavorano per vivere, tu vivi per lavorare. Ma la mia età non è mai stata un ostacolo per la mia attività”.